Il ponte sulla SS18, in prossimità della foce sul fiume Lao, nella omonima valle, oggi vezzosamente detta <<riviera dei cedri>>, è un punto straordinario di osservazione del paesaggio disegnato dalla catena dei monti dell’ORSOMARSO.
Sembra di essere al centro del diametro di un cerchio che divide la superficie nei due semicerchi montano e marino: con le spalle rivolte al mare, girando lo sguardo da sinistra verso destra, vedo la catena montuosa che forma il golfo di Policastro, da capo Palinuro a capo Scalea; ancora verso destra, la cornice formata dai monti incastona la valle del Lao, fino alla punta di Cirella, quella che una volta, ai tempi della magno-greca Sibaris, era una profonda insenatura, un approdo sicuro da cui il nome di Laos, poi sinus Laus in epoca romana; oltre Cirella, spicca la cima aguzza di serra La Croce da cui segue il profilo discendente dell’Appennino calabrese; poi l’orizzonte marino da dove Stromboli, con il suo pennacchio di fumo, ci augura la buona notte.
E’ questo l’ambiente in cui viviamo noi fortunati abitatori della valle del Lao: monti, boschi, fiumi, mare che rendono concreto e materiale il concetto astratto di ambiente.
Una materialità alla quale diamo il nome di paesaggio, inteso comunemente come bellezza naturale, in modo limitante e un pò fuorviante.
Sorprende notare come, in questo semicerchio, non vi sia soluzione di continuità tra montagna e mare, nel senso che, tranne che in pochi tratti di costa, la montagna è figlia del mare che l’ha partorita con la forza delle spinte tettoniche, senza che ne sia stato tagliato il cordone ombelicale! Una circostanza che giustifica perché l’uomo, per organizzare il suo spazio, sia stato costretto a costruire i suoi borghi appendendoli alle pareti scoscese.
Un turista osserva il paesaggio come un quadro artistico dipinto dalle arti magiche della Natura e rimane ammirato dal profilo dei monti, dai colori cangianti della vegetazione, dai borghi antichi incastonati come gemme sul territorio. Una vista che suscita un’emozione estetica da immortalare in un fermo immagine fotografico, ma pur sempre un modo inanimato di vedere. Ma se l’osservatore è chi è nato, vissuto, partito, ritornato qui – non sapendo resistere alla forza del nostos – l’emozione non è solo estetica: affiorano ricordi, si risentono profumi e voci mai dimenticati: è il racconto di una umanità della quale si era avvertita, in luoghi altri e lontani, la progressiva scomparsa.
Grazia Deledda ci descrive in modo struggente i sentimenti di chi si allontana dai luoghi in cui ha ricevuto il suo <<imprinting>> con i pensieri di Efis, un personaggio di <<Canne al vento>>, quando è costretto ad allontanarsi, seppure per breve tempo, dal luogo dove ha trascorso la sua vita: <<…ogni tanto si fermava volgendosi a guardare il poderetto tutto verde fra le due muraglie di fichi d’India……; e la capanna lassù nera fra il glauco delle canne e il bianco della roccia gli pareva un nido, un vero nido. Ogni volta che se ne allontanava lo guardava così, tenero e melanconico, appunto come un uccello che emigra: sentiva di lasciar lassù la parte migliore di se stesso, la forza che dà la solitudine, il distacco dal mondo; e andando su per lo stradone attraverso la brughiera…, diretto verso un luogo di penitenza: il mondo…>>
Entrando nell’ambiente interno a quei luoghi ci rendiamo conto di esserne parte integrante, in mutua condivisione e connessione in un sistema ordinato con ogni essere vivente che vi abita, vegetale o animale che sia, perché la natura è una e indivisibile e nell’ambiente include la vita, le relazioni sociali, e molti altri aspetti.
Osservandone le trasformazioni siamo indotti a pensare a come siamo e a ciò che eravamo: qui abbiamo ricevuto la nostra impronta e ancora ci identifichiamo come parte di quei luoghi. E’ evidente, dunque, che, se considerato in modo olistico, il paesaggio è cultura -intesa in senso antropologico- e promuoverla e tutelarla significa rafforzare una diffusa coscienza civica per la salvaguardia di un bene comune e per scongiurare la perdita di un patrimonio che avrebbe, certamente, costi sociali ed economici.